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Roberto Denti e Andrea Valente

23.05.2013 - Senza perdere il filo

Andrea Valente ricorda Roberto Denti.

Capita di trovare le persone amiche nascoste nei pertugi più impensati della tua giornata: sbucano all’improvviso, ti fanno un sorriso che è un ghigno e se ne tornano, nascoste e soddisfatte di essersi fatte scoprire.
Capita tra le tazzine del caffè, nei lacci delle scarpe, in una nuvola che si forma e scompare. Capita soprattutto quando è una persona amica a scomparire come quella nuvola e poi magari piove.

Ecco, Roberto è un po’ lì, dove non so, ma c’è. È negli spaghetti, che i bambini svedesi, lettori di tutto, non sanno cosa si perdono. È nelle parole che non ti vengono e pare se le sia portate con sé, per non sentirtele dire. Che poi non avrebbe torto, Roberto... Non mi va di raccontartelo anche poco, se non lo hai conosciuto. Peggio per te. E peggio per me, che potevo conoscerlo ancora di più e, che so, magari invitarlo a cena con la sua Gianna... E se lo hai conosciuto, che te lo racconto a fare? Già si è sempre raccontato lui, generoso e instancabile, e ogni parola in più sarebbe in più davvero.

Però te lo dico, dove ho trovato Roberto poco fa. Ho aperto un libro, aperto per bene, intendo, tenendo le pagine ferme tra i polpastrelli. Si era nascosto lì dentro, nella piega tra pagina quarantotto e quarantanove, attorcigliato al filo della legatura, che poi è dove è sempre stato, solo che noi lo vedevamo in ogni città d’Italia e nessuno se ne accorgeva. Era dentro ogni libro ed è ancora lì, a tenere insieme i fascicoli tra loro e con la copertina, i risguardi e la sovraccoperta, gli inserti e le illustrazioni, le parole e il frontespizio.

Ci si sente un po’ come un libro scucito, senza quel filo, che però è ancora lì, si vede, ti sorride in un ghigno e lascia che si giri pagina, senza perdere il filo.

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